A volte succede che fin dai primi segni che traccio, l’opera mi rapisce e divento del tutto sua. Non è più l’opera ad appartenermi ma io ad appartenere completamente a lei. È l’opera che guida i miei gesti e la mia mente è voluttuosamente fusa in lei. Le mie emozioni dipendono dai luoghi in cui mi guida, dalle mete che mi propone e dalla sua riuscita finale.
Dolce tormento è vibrare nella tensione esecutiva. L’opera si palesa davanti ai miei occhi e durante tutto il processo col quale tento di darle vita, essa muta e si trasforma, chiede da me sempre più. Il risultato è ogni volta diverso dalla visione iniziale; lungo il nostro cammino insieme, l’opera ed io abbiamo danzato in punta di matita, giocato con le gocce di colore cadute dai pennelli e ci siamo modificate a vicenda. Quello che voleva lei da me all’inizio si è plasmato coi gesti delle mie mani, e io ho vissuto emozioni e imparato tecniche da quello che mi richiedeva.
Allora forse quello che ho scritto inizialmente non è del tutto esatto. Io appartengo all’opera ma non solo, è pur vero che essa appartiene a me. In una danza in cui i ruoli cambiano continuamente ci lasciamo trasportare, per volare insieme sulla scia della vera arte.