Passeggiata alla Tate Modern

Ieri ho visitato la Tate Modern di Londra, gironzolando tra le sale ho fatto varie riflessioni, eccone alcune.

Alla Tate, in questo periodo, c’è una mostra temporanea sui collages di Matisse. Ho iniziato da qui il mio viaggio in uno dei templi dell’arte contemporanea. Il mondo di Matisse è un mondo fatto di colori, ritmo e fantasia, sembra quello dei bambini ma ha la consapevolezza del mondo degli adulti: tutto è ragionato e compreso e nulla è lasciato al caso. Amo il vortice di colori de “L’Escargot” e sono meravigliata dalla capacità dell’artista nel cogliere l’espressione di un volto con due pennellate.
Entrando in una nuova sala, appare su una parete alla mia destra, una grande Vergine col Bambino, un cartone preparatorio probabilmente. Con il mio interesse per l’arte sacra non posso fare a meno di notare che è da tanto tempi che i grandi artisti non si confrontano più a livello figurativo con le figure sacre.

La mia visita prosegue tra le sale del museo dai mille quadri… Mi trovo davanti ad un Turner “Yatch Approaching the Coast” e mi sembra di essere immersa nella nebbia di una mente addormentata e, come in un sogno, le cose appaiono lentamente e si delineano… le vele della nave, le case sulla costa…

Davanti a “The Sea B” di Nolde, la mia mano scrive sul taccuino degli appunti: “lasciate che la mia anima si esprima attraverso ogni singola goccia d’acqua di un mare in tempesta”

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La sala dedicata a Rotcko mi inquieta. Non ho mai provato nulla di simile davanti ad un quadro. Mi sento totalmente assorbita dal colore, è come se le tele mi aspirassero tutta e non lasciassero più nulla dentro di me, solo il vuoto. Vuoto nei quadri di un’arte fine a se stessa, vuoto in me, vuoto intorno a me, tutto è piatto, senza sentimento. Solo una delle grandi tele lascia una speranza di vedere qualcosa oltre, qualcosa al di fuori della finestra che sembra disegnare. Il colore dello sfondo è sfumato e sembra che vi sia una luce che discende dall’alto.

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Con Leon Golub “Wietnam II” e Hrair Sarkissian “Execution Squares” il pensiero non può che farsi pesante. Per quanto tempo l’uomo dovrà ancora distruggere e uccidere? Per quanti anni, secoli, millenni, l’uomo deciderà la sorte dei suoi simili e gli strapperà la vita?
Una parete col caos e le grida dei morti del Wietnam e una parete con le piazze deserte prima dell’esecuzione che avverrà su di esse. Tempesta e calma, ma in entrambe sospensione, i soldati stanno per sparare sulla popolazione ma ancora non l’hanno fatto e la piazza è silente e ignara del terribile spettacolo che presto accoglierà.
Le piazze di Sarkissian lasciano immaginare anche lo scenario futuro, quando i morti saranno portati via e tutto tornerà come prima. Chi si ricorderà di quello che è stato e di loro?

Per fortuna girando l’angolo incontro Monet che mi aiuta a rasserenarmi con le sue “Waterlilies” del 1916. Mi perdo tra i suoi strati di colori pastello, mi avvicino vertiginosamente per cogliere ogni singola pennellata e poi mi allontano. Pace, calma, giornata di sole spensierata…

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