Visita alle catacombe ebraiche di Venosa.
Le catacombe di Venosa non sono le prime catacombe che visito, ho visto quelle di Priscilla a Roma e ho visto anche alcune necropoli in Sardegna.
Quando si visitano questi posti bisogna “entrarci in punta di piedi” a parer mio. Sono passati secoli, a volte millenni da quando persone di tutti i generi sono state accolte in questi luoghi di riposo eterno, eppure sento di dover portar rispetto malgrado la distanza temporale che mi separa da loro.
Sono sempre stata convinta che nei luoghi in cui viviamo rimane traccia del nostro passaggio. È forse per questo che quando visito luoghi storici mi sembra quasi di poter dialogare con chi ci è stato prima di me. È un dialogo silenzioso, impercettibile, non basato su parole o discorsi, ma semplicemente su sentimenti ed emozioni; è la consapevolezza che qualcuno prima di me ha visto quel posto e lo ha vissuto con il proprio sentire. Non sto parlando di fantasmi o spiriti che aleggiano, ma di tracce, tangibili o meno, di passaggi remoti di uomini e donne dimenticati nel lento incedere del tempo.
La visita prosegue tra chiese venusine e parchi archeologici. L’immagine che però, arrivata la sera, conservo più vivamente negli occhi è quella dei prati fioriti pieni di papaveri. Il rosso dei fiori contrasta col verde brillante dell’erba e, il cielo, solcato da grandi nuvoloni bianchi, è azzurro profondo. Meravigliosa Basilicata, meravigliosa Italia.
Altre immagini che scorrono davanti ai miei occhi sono quelle degli affreschi del complesso della Santissima Trinità dove riposano Roberto il Guiscardo e sua moglie Alberada. Uno fra tutti è quello rappresentante Santa Caterina d’Alessandria, trecentesco, splendido. Mi è sembrato di riconoscere una possibile influenza giottesca, ma chissà…
Infine, piccolo dono inatteso della giornata, l’arcobaleno visto dalle mura del castello, mentre gli altri del gruppo erano in visita al museo archeologico. Un attimo magico, rubato ma allo stesso tempo uno di quei momenti in cui sembra che tutto voglia condurti lì in quel luogo, in quel preciso istante. Ero rimasta indietro; nel museo potevano entrare solo venti persone alla volta, ho buttato un occhio alla corte interna, un piccolo ripensamento stava per condurmi nell’altro museo, quello paleontologico, ma qualcosa mi chiamava su per la scalinata che porta al camminamento delle mura. Ecco, lasciarsi sempre condurre quando ci si sente chiamati verso qualcosa! La sorpresa era dietro l’angolo infatti. Tra due campanili, eccolo là, l’arcobaleno! Sette colori che donano al mondo le sfumature più belle, annunciando il sereno dopo la pioggia.