1968: Franco Zeffirelli regala al mondo una delle sue opere cinematografiche più acclamate e apprezzate dal pubblico e dalla critica, Romeo e Giulietta.
La tragedia shakespeariana non è certo una storia d’amore, o non lo è soltanto; ma è di fatto la vicenda per eccellenza dell’odio e della vendetta che si contrappongono al sogno d’amore di due giovani troppo fragili per poter sopravvivere alle terribili forze che dilaniano gli animi di tutti i personaggi che li circondano e di cui saranno vittime innocenti, agnelli sacrificabili da chi o per paura o per proprio tornaconto, non saprà mai guidarli e aiutarli per davvero. Adolescenti abbandonati a loro stessi che non troveranno mai una soluzione per vivere l’amore che si configura il più tenero del mondo, Giulietta e Romeo, vivono in un mondo di adulti ripiegati e arrovellati, che li vuole adulti senza fornire loro gli strumenti per esserlo e per sperare. Romeo e Giulietta non muoiono d’amore, perché l’amore è vita, ma muoiono per mancanza di speranza e di sogni. Non è cambiato molto dai tempi di William Shakespeare viene da pensare…
Zeffirelli ha saputo donare a questa tragedia nuova linfa vitale quando decise che i due attori protagonisti dovessero avere l’età dei personaggi shakespeariani e non essere attori già affermati e quindi più in su con gli anni. In un periodo storico di movimenti sociali e rivolte di giovani che volevano cambiare il mondo, il film fu un successo. I premi sono fioccati e il pubblico era commosso e innamorato dei due giovani diretti magistralmente da Zeffirelli che donò loro una luce tenera e dolcissima, mai vista prima sul grande schermo, per le loro interpretazioni. Una tenerezza da far scuotere gli animi di chi, consapevole del rude finale incombente, nel guardarli, non può fare a meno di sperare invano che le cose per loro vadano diversamente.
Ma oltre alla regia e agli attori, cosa fa di una pellicola un film memorabile? Tutto, ovviamente! Dalle riprese in Italia anche se la produzione era internazionale, la conseguente fotografia, le musiche dirette dal grandissimo Nino Rota, l’adattamento dei testi, per l’edizione italiana la scelta del doppiaggio, che conta un giovane Giancarlo Giannini che era stato Romeo a sua volta, sempre per Zeffirelli, a teatro… e i meravigliosi costumi da premio Oscar! Realizzati da Danilo Donati che aveva già collaborato con Fellini e Pasolini, essi sembrano donare vita agli affreschi rinascimentali italiani.
Ho avuto il grandissimo piacere di visitare la mostra a loro dedicata alla Fondazione Franco Zeffirelli a Firenze, ma oltre che piacere è stato un sogno. Cercherò di mettere da parte il fatto che Romeo e Giulietta è stato IL FILM della mia adolescenza e che, una volta entrata nella grande sala in cui sono esposti i costumi, io abbia avuto un ritorno di fuoco di tutte quelle emozioni che da ragazza mi attraversavano mente e cuore guardando il film, costringendomi talvolta a non dormire la notte per sognare ad occhi aperti di essere Giulietta, con Quel Vestito Rosso, e cercherò di essere il più obbiettiva possibile. Promesso.
Sono costumi spettacolari. Questo è un dato di fatto. Ricchi e semplici allo stesso tempo, colorati come se fossero usciti da un dipinto dell’epoca e perfettamente intonati alle scene, agli stati d’animo e ai caratteri dei personaggi. Tebaldo è un focoso Capuleti, tutto sangue e vendetta, dai colori forti, ma ecco che nella scena della sua morte porta un giustacuore scuro. Romeo indossa un sognante e malinconico blu che si trasforma in colori chiari ma festosi per il suo matrimonio, fino ad arrivare anche lui al nero della morte. La balia è sgargiante, festosa, quasi epicurea e il suo vestito per eccellenza trasmette queste caratterizzazioni con una simpatica e gioiosa opulenza. Giulietta è sicuramente il personaggio con più cambi d’abito, che passano dai toni sobri di una figlia giudiziosa, al rosso intenso e acceso della scena in cui si innamora del suo Romeo (che forse rimarrà colpito e sedotto proprio da quel rosso così passionale e diverso da lui), passando al lilla dolcissimo del suo abito nuziale, finendo poi a quell’oro scuro della sua ultima veste, scura come la fine della sua tenera vita, ma con qualche luccichio, simbolo di una speranza nella nuova vita immersa nella luce di Dio, ricongiunta col suo amore. Madonna Capuleti è imponente, severa, vuole tingersi di rosa ma non ci riesce e la sua veste, a parte le maniche, è del colore del sangue ormai ossidato.
I vestiti di scena, più di trenta, sono esposti fino al 18 febbraio, in un grande salone colonnato, un allestimento incredibile, scenografico, in grado di trasportare il visitatore all’interno del film e in particolar modo nella scena della festa a Palazzo Capuleti. Su un grande schermo sono proiettate alcune dei passaggi in cui i costumi sono indossati dagli attori e le musiche di Nino Rota risuonano nell’aria. La mia fortuna è stata quella di essere da sola, così la mia Sindrome di Stendhal galoppante ha potuto fare tranquillamente il suo corso. Non sarei più uscita e il mio commento sul libro d’oro dei visitatori è stato: “Credo che se aveste proiettato tutto il film, lo avrei rivisto tranquillamente, tutto, di nuovo, per la duecentomillesima volta” e aggiungo ora che vederlo in quel contesto lo avrebbe reso ancora più indimenticabile (ecco la Giulia adolescente, fan sfegatata di Romeo e Giulietta, che comincia a parlare).
Avrei tanto voluto avere un catalogo, ma purtroppo mi hanno spiegato che non era stato possibile realizzarlo. La mia riflessione è sempre la stessa, è un peccato che nella nostra Italia così ricca di poliedrici artisti che si sono e si esprimono attraverso tutte le arti, compresa in questo caso quella dei costumi di scena, non ci siano mai abbastanza aiuti sia economici che organizzativi per coloro che cercano di promulgare e traghettare verso il futuro la nostra tradizione artistica. Speriamo in un futuro migliore e speriamo che i costumi di Danilo Donati tornino in mostra, magari anche in altre città italiane. Lo meritano.
Giulia Calvanese per Radio Bla Bla Network News