La settimana scorsa sono stata a Modena per una breve gita che mi ha dato voglia di tornarci. Pensavo che il weekend tra sabato e domenica bastasse, ma in realtà, come succede nella maggioranza dei casi un cui si decide di visitare una città italiana, non sono riuscita a vedere tutto.
Modena è un piccolo gioiello, a partire dal suo Duomo, la cattedrale di Santa Maria Assunta in Cielo e San Geminiano. In molti l’abbiamo studiata a scuola o all’università, in particolare per le sculture del grandissimo Wiligelmo, primo artista “nominato” come autore delle sue opere, cosa che non era più successa dopo i tempi della Grecia classica. Non si tratta ancora di una firma autografa, ma il suo riconoscimento probabilmente postumo, apposto sulla facciata, apre gloriosamente quel difficile cammino che tutt’ora intraprendono gli artisti per vedersi riconosciute le proprie opere e il proprio valore (cammino tortuoso che ad ogni epoca vede una nuova sfida e che giunge a noi con i problemi legati all’intelligenza artificiale, ma questa è un’altra storia, e forse, chi lo sa, un altro articolo).
Le sculture di Wiligelmo sono ieratiche, come lo voleva lo stile del tempo, ma allo stesso modo stravolgono la loro solennità con gesti ed espressioni empaticamente commoventi. La regalità dei personaggi biblici è accompagnata da una loro umanità senza precedenti, cosa mai vista intorno al 1100, e questo conferma come il XII fu un secolo fondamentale per la storia umana.
Dopo aver visitato l’interno del Duomo, anch’esso affascinante e ricco di arte, ho voluto fare un salto avanti di qualche secolo, quasi un millennio, e vedere la mostra su Mario Sironi, visitabile fino al 4 febbraio alla Galleria BPER Banca.
Sironi, di natalità sarda, è stato un grande artista italiano, semi dimenticato dalla storia dell’arte recente, a causa della sua appartenenza al partito fascista. Al primo momento potrebbe stupire la presenza di una mostra su di lui in una città che sembra ricordare ad ogni suo angolo le azioni partigiane che hanno contribuito alla Liberazione, ma l’intento non è certo quello di promuovere un’arte di regime come qualcuno potrebbe erroneamente pensare, ma piuttosto quello di andare oltre, per guardare all’arte come espressione libera dell’animo di un artista travagliato. L’arte ha questo potere, seppur spesso ancorata al periodo storico in cui nasce, riesce anche a distaccarsene, donando spunti di riflessione sull’interiorità dell’uomo che l’ha creata. Fascista fin dalla nascita del partito, Sironi entra in intimo conflitto con esso quando vengono promulgate le leggi razziali, e questo è riscontrabile nel suo operato. Quanto una persona può lottare per una coerenza nella vita e a quali scontri va incontro questa personale coerenza di fronte agli eventi tragici della storia? Queste riflessioni scatenate dall’arte sono in grado di far fare un ulteriore passo sulla comprensione comune di quel brano di storia oscura che hanno attraversato i nostri nonni. E con comprensione non e sottolineo non si parla di perdono e conseguente oblio, ma piuttosto di capire i meccanismi profondi dell’essere umano che hanno attraversato le menti delle persone di quei tempi. Soltanto studiando, capendo e trovando il nocciolo, l’umanità potrà essere sicura di non riproporre più quel modello. L’arte di Sironi è oscura, a tratti tragica, non distaccata ma ben presente alla storia che l’accompagna. Chi di noi ha in mente altri modelli dell’arte a servizio del fascismo, troverà in Sironi una declinazione molto più interiorizzata e commovente di essa. Pablo Picasso, politicamente opposto a lui, lo riconoscerà come l’unico artista italiano in grado di competergli; questo non tanto per esplicitare ancora una volta il vasto ego di Picasso, come ci invitava a riflettere la preparatissima guida che ci ha accompagnato nelle sale, ma per sottolineare come l’arte sia in grado di superare qualsiasi differenza e ostacolo di comunicazione.
Tornando indietro di qualche secolo, mi sono recata nel palazzo di fronte, quello comunale e ho potuto scoprire processi artistici molto diversi e… gustosi! Nel sottotetto del palazzo comunale è visitabile l’acetaia con tanto di mini conferenza sulla produzione e sulla storia dell’aceto balsamico tradizionale di Modena. Perché ho sottolineato il termine “tradizionale”? Perché chi si recherà in questo suggestivo posto scoprirà che non tutto l’aceto balsamico di Modena è tradizionale, e solo quello chiamato così segue un preciso disciplinare di produzione proveniente da secoli fa. Non voglio svelarvi altro perché questa visita non solo racconta di aceto ma dell’essenza stessa dei modenesi e va vissuta di persona.
Rimanendo però sempre in ambito gastronomico, vi do appuntamento al prossimo articolo, in cui vi parlerò di una chicca speciale da scoprire intorno a Modena.
Giulia Calvanese per Radio Bla Bla Network News